Il treno del Sole

Andavamo in avanscoperta alla Stazione Centrale, conoscevamo il numero del binario su cui stazionavano le vetture che sarebbero state agganciate al Treno del sole. All’arrivo in stazione un nugolo di facchini, muniti di carrellini, cercava di prenderti le valige per accompagnarti sul treno, se eri ben disposto a sganciare una mancia ti avrebbero trovato il posto sul Treno del sole. Ma noi conoscevamo quel trucco ed  evitando l’entrata principale ci dirigevamo direttamente ai vagoni.

Per noi ragazzi era un gioco quel dirigerci quasi di soppiatto verso il binario e salire sui vagoni vuoti che li a poco sarebbero stati aggiunti al Treno del Sole.

Il treno proveniva   da Palermo e da Siracusa, due treni diversi, che  si riunivano a Messina  per poi  attraversato lo stretto raggiungere Torino, la città operaia, la città degli Agnelli. Tutto il viaggio durava  25 ore.

A Napoli l’arrivo era alle 21.14 per ripartire alle 21.28, la fermata aveva un tempo  così lungo per consentire  le manovre di aggancio dei vagoni in sosta. Questi lentamente  finivano con il riempirsi. La maggior parte dei  viaggiatori, invece,  si recava al binario di Arrivo del Treno di Palermo sperando di trovar posto. Nei minuti che ci separavano all’arrivo del treno si parlava poco tra grandi, noi più piccoli esploravamo la carrozza, i sediolini a ribalta nei corridoi erano il nostro gioco preferito. Si respirava un’aria  triste, si percepiva come una malinconia trasferirsi da persona a persona. Quanto tempo sarebbe trascorso fino al prossimo incontro?  Allora si iniziava a parlare di Pasqua, di quanto ci saremmo nuovamente riuniti. Mio padre poi guardando la sorella le diceva che saremmo saliti anche noi a Genova per il ponte di San Giuseppe. Qualche sorriso tornava a distendere i visi e l’aria diventava meno greve.

Sul treno al binario di partenza la gente si affrettava nervosa cercando un posto a sedere, le valige ce le  passavamo dai finestrini: una volta trovato il posto, uno saliva sul treno l’altro rimaneva a terra con i bagagli. I facchini si facevano spazio per primi, si sentivano un po’ padroni e spesso nascevano alterchi. Al momento della partenza noi si scendeva dopo aver salutato in fretta, il treno partiva, non potevamo rischiare di rimanere in carrozza.

Sul marciapiede aspettavamo il movimento  lento del treno in partenza, il capostazione fischiava forte un fischio lungo di gioia e tristezza, noi accompagnavamo il treno per qualche passo salutando, allora anche io diventavo triste nel vedere, affacciati al finestrino e con i nasi vicino al vetro, i miei cugini e miei zii andar via e davo la mano a mio padre per tornare a casa.

Il treno del sole ci avrebbe messo quasi nove ore e mezza per arrivare a Genova Principe. Una lunga notte seduti.

Anche io ogni anno prendevo quel treno con la gioia e l’eccitazione di star andando a Genova. Il treno fermava a Roma, Livorno, Pisa e La Spezia prima di arrivare ala nostra meta. Ad ogni fermata saliva qualcuno, qualche altro scendeva, in quelle notti che non erano notti. Nel periodo in cui salivamo noi, se eri fortunato, lo scompartimento non si riempiva e si rimaneva in tre con sei posti a disposizione e si poteva dormire e distendersi un poco. I vagoni avevano un odore di ferro e di finta pelle, se la carrozza era quella per fumatori allora restava attaccato alle pareti un sentore di fumo. Durante la notte mio padre si alzava, non riusciva a dormire, passava lunghi periodi in piedi nel corridoio a vedere scappare la notte al ritmo costante del treno.

Il treno del Sole era il treno dei migranti, degli operai con le valige di cartone attaccate con lo spago, il treno che segnava l’epoca di un Italia contadina che diveniva operaia.

In quegli anni Bruno Lauzi scrisse una canzone d’amore si intitolava: “La donna del sud”. Le parole dicevano “Una donna di nome Maria È arrivata stanotte dal Sud. È arrivata col treno del sole ma ha portato qualcosa di più.” A lui in qualche modo rispose Sergio Endrigo con la sua canzone “Il treno che viene dal sud” che diceva: “Il treno che viene dal sud Non porta soltanto Maria con le labbra di corallo e gli occhi grandi così.
Porta gente, gente nata tra gli ulivi, porta gente che va a scordare il sole, ma è caldo il pane Lassù nel nord”

 

Mario Bianchi Written by:

Nato il secolo scorso. Ama andare in giro fra libri e piccoli borghi. Monogamo da sempre, sta bene in famiglia e con gli amici, in loro compagnia ama bere del buon vino e fumare tabacco.

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